Il G20 di Venezia e schiacciare talpe

Participants attend the G20 high-level tax symposium during the G20 finance ministers and central bank governors' meeting in Venice, Italy, July 9, 2021. G20 Italy/Handout via REUTERS

Meno di un quarto di secolo fa, il mantra del neoliberismo sembrava ormai regnare un po’ dappertutto; la concezione secondo la quale, quanto più indiscriminatamente libero e globalizzato è il mercato, tanto meglio per l’economia del proprio paese e del mondo, era ormai accettata da tutte le fazioni del mainstream politico. Tanto che nel maggio del ‘97, dopo quasi vent’anni all’opposizione, i laburisti britannici tornavano al potere sposando proprio questa dottrina economica e abbandonando lo stendardo del socialismo operaio, che era stato loro fin dalle origini.

Non che non ci fossero già persone attente che criticavano quel modello, ma il vero, primo grande colpo che intaccò questa certezza globalista venne dieci anni dopo, con la crisi del 2008. La cosiddetta Grande Recessione – chiamata così in onore dell’altr­­­a (fino al coronavirus) precedente grande crisi, quella del ’29 – originò in parte dalla speculazione nel mercato immobiliare statunitense, e si propagò con facilità per le stesse vie che il nuovo modello economico globale aveva aperto per agevolare lo scambio internazionale di beni, capitale e servizi. L’ironia fu che pochi anni prima il presidente democratico Clinton aveva riformato, di fatto annullandone gli effetti, alcune leggi volte a regolare il mercato, che Roosevelt, un altro presidente democratico, a suo tempo aveva fatto approvare in seguito alla Grande Depressione.

Da allora, il mantra della globalizzazione è andato progressivamente in frantumi, rivelando le insufficienze, le criticità e le estreme ineguaglianze che esso crea nella società di oggi: i ricchi si stanno facendo più ricchi mentre i poveri diventano sempre più poveri; l’ambiente, come abbiamo visto bene negli ultimi anni, risente gravemente dello sfruttamento indiscriminato delle sue risorse.

In un sistema dove la libertà di agire di enti privati, che per la loro stessa natura non cercano altro che il proprio profitto, è sbandierata come il principio essenziale, si crea una situazione nella quale questi enti si abitueranno sempre di più a fare come gli pare e piace, estendendo all’infinito i limiti della propria impunità. Alcuni hanno saputo approfittarne meglio di altri, e così, inevitabilmente, si sono creati dei grandi monopoli o quasi-monopoli, dove enormi multinazionali e società varie hanno preso il controllo di numerosi ambiti economici; dove invece questo potere non appartiene ad un’unica entità, vediamo ingaggiati duelli titanici tra due o tre multinazionali. In ogni caso, i competitori più piccoli vengono schiacciati, e il tanto agognato mercato libero, una volta minacciato da chi voleva “troppo” controllo da parte delle istituzioni, ora ha il suo più grande nemico nel capitalismo sdoganato e selvaggio.

Ma sotto i colpi sempre più forti di recessioni continue, di una popolazione sempre più insofferente, e di un’ultima, grande crisi economica mondiale (ci voleva una pandemia e qualche milione di morti per accorgersene?), sembra che la filosofia economica stia cambiando. L’Unione Europea ha approvato un piano di aiuti economici enorme, nonostante le proteste dei paesi più “frugali”; certo è da vedere come verranno effettivamente spesi quei soldi, ma almeno abbiamo qualcosa su cui lavorare. Negli Stati Uniti, il nuovo presidente democratico Biden ha approvato i piani di aiuto economico più sostanziosi dalla Grande Depressione a questa parte. Ognuna di queste e altre misure ha le sue problematiche: potrebbero essere più ambiziose, non affrontano tutte le realtà che dovrebbero, ne ignorano altre. È bene mantenere una mente critica, ma bisogna anche riconoscere che, per quanto manchevoli in alcuni aspetti, questi sono i primi grandi cambiamenti effettivi che ci scostano dal neoliberismo morente. Non sono permanenti, non è una cosa fatta e finita, neanche lontanamente. Dobbiamo ancora fare molto, soprattutto noi giovani, ma se prima combattevamo con una fionda, adesso abbiamo qualcosa di più concreto a cui aggrapparci.

Rimane tuttavia un problema: tutte queste politiche sono state adottate su scala nazionale, o perlomeno, continentale. Ma la globalizzazione, come dice il nome, è mondiale. Non ha capo né coda: se la combatti in un paese o in un continente, sopravvive in un altro, e così via, in un continuo gioco di Schiaccia la talpa. Fino ad oggi, e ancora per molto tempo, il problema principale è stato e sarà che, mentre questa economia senza regole si è evoluta di pari passo con le innovazioni tecnologiche e non, producendo anche istituzioni (Fondo Monetario Internazionale, Davos, etc etc) che non hanno fatto altro che favorirla e darne un’immagine più legittima, non è stato così per le istituzioni che dovrebbero mitigarne gli effetti negativi.

In questo modo, continuiamo a giocare a Schiaccia la talpa senza venirne a capo.

E tutto questo ci porta, finalmente, al 10 luglio del 2021, quando al G20 di Venezia i ministri delle finanze delle principali economie del mondo hanno ufficialmente annunciato un nuovo piano: una tassa minima globale del 15% sulle grandi imprese, e cioè quelle che abbiano un fatturato pari o maggiore ai 756 milioni di euro circa. Per ora c’è solo l’accordo: la pianificazione del come attuarlo è stata rimandata al prossimo incontro in ottobre, e in ogni caso la misura entrerebbe in vigore soltanto nel 2023; inoltre, alcuni paesi dove questa tassa è particolarmente bassa, tra cui Irlanda e Ungheria, si rifiutano ancora di aderire all’accordo. Ma è anche vero che i paesi che invece sì hanno aderito sono ben 132, dei quali 35 prevedono attualmente una tassazione inferiore al nuovo tetto minimo del 15%.

Di nuovo, occorre essere critici. Non ci sono regali, e bisogna faticare per ogni centimetro conquistato. Forse non è l’accordo migliore o più efficace. Ma dopo una pandemia globale, dopo qualche milione di morti, ci è concesso interpretare questo accordo come un buon segno, un primo passo da cui, continuando a tenere alta la guardia e il megafono, si possa costruire un nuovo sistema economico, dove il mercato libero e internazionalizzato risponda alle regole di istituzioni a loro volta internazionalizzate, con le risorse e gli strumenti adeguati per agire simultaneamente in tutto il mondo. Un sistema, in sostanza, dove non giocheremo più a schiacciare le talpe.

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